Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), il 6 aprile 2020, si sono consumate violenze riprese dalla videosorveglianza sui detenuti. Le violenze sarebbero avvenute a seguito di una protesta dei detenuti per l’interruzione dei colloqui per l’emergenza COVID.
Il fatto si è svolto in un ambiente che viene spesso descritto dalle associazioni che si occupano dei diritti delle persone detenute come mal tenuto, con scarse condizioni igieniche e infestato dagli insetti. La struttura ospita un migliaio di persone, anche se la capienza massima è di circa 800, suddivise in vari reparti chiamati con i nomi di alcuni fiumi quali Danubio, Tevere e Nilo.
All’inizio di aprile del 2020, in alcune sezioni del reparto Nilo ci furono proteste e manifestazioni da parte delle persone detenute, che chiedevano la possibilità di avere mascherine e igienizzanti per le mani per ridurre il rischio di diffusione del coronavirus. La protesta iniziò quando nel carcere stava circolando la notizia che un addetto alla distribuzione della spesa fosse stato messo in isolamento per via di una febbre alta e che in seguito fosse risultato positivo all’infezione da SARS-CoV-2.
Il 5 aprile la protesta si fece più intensa, con un centinaio di persone detenute che iniziarono a battere contro le sbarre delle celle. All’orario di chiusura, diverse persone detenute si rifiutarono di rientrare rimanendo nel corridoio per proseguire con la protesta, in alcune sezioni del reparto furono spostate brande fuori dalle celle, per utilizzarle come barricate impedendo agli agenti di passare nei corridoi.
La protesta si calmò tra la mezzanotte e le due di notte, con la rimozione delle barricate da parte delle stesse persone detenute, che si offrirono anche di partecipare al riordino dei corridoi e delle celle. Il giorno dopo le proteste, il comandante del nucleo provinciale Traduzioni e piantonamenti, Pasquale Colucci, inviò una relazione ad Antonio Fullone, provveditore regionale alle carceri.
“La situazione piuttosto che risolversi, sembrava invece precipitare, con i detenuti che minacciavano finanche di utilizzare olio bollente nei confronti del personale, laddove lo stesso avesse deciso di entrare nel reparto. […] In questo scenario non lesinavano minacce nei confronti del personale, che offendevano, minacciavano ed invitavano ad allontanarsi, brandendo oggetti di diverso genere.”
Il 6 aprile, circa 300 tra agenti di polizia penitenziaria del carcere ed esterni, organizzarono secondo la magistratura «perquisizioni personali arbitrarie e abusi di autorità», con lo scopo di dare una risposta alle proteste del giorno precedente nel reparto Nilo.
La “perquisizione” iniziò intorno alle 15:30 del pomeriggio, con l’intervento degli agenti in diverse celle del reparto Nilo. Senza fornire particolari spiegazioni, alle persone detenute fu chiesto di mettersi davanti alla propria cella, con mani e viso appoggiati verso il muro. L’iniziativa era stata definita una «perquisizione straordinaria generale», ma nei fatti fu una sorta di rappresaglia con ripetute violenze nei confronti delle persone detenute, che durarono per circa quattro ore. L’indagine era iniziata in seguito a un esposto presentato dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, e grazie alle denunce dei familiari delle persone detenute. I video sequestrati nel carcere e le telefonate con i parenti hanno poi permesso di avere prove ancora più consistenti.
Il processo si è aperto davanti la corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a carico di 105 persone coinvolte a vario titolo nel pestaggio di stato.
A processo c’è l’intera catena di comando dell’istituto di pena “Francesco Uccella”, gli agenti della polizia penitenziaria e l’ex provveditore regionale della Campania.
Tra le conseguenze, il 30 giugno presso il ministero della Giustizia è stata organizzata una riunione per fare il punto sulle carceri e le condizioni in cui si trovano persone detenute e in cui lavorano gli agenti. La ministra Cartabia ha detto che quanto accaduto è «un’offesa e un oltraggio alla dignità della persona dei detenuti e anche a quella divisa che ogni donna e ogni uomo della polizia penitenziaria deve portare con onore […] È un tradimento della Costituzione: l’articolo 27 esplicitamente chiama il “senso di umanità”, che deve connotare ogni momento di vita in ogni istituto penitenziario».
Ad oggi, il procedimento penale risulta ancora in corso, ma i magistrati inquirenti portano con sé la speranza che possa concludersi nel più breve tempo possibile.
A cura di Francesco Pasquini e Alessandro Tini