“Mentalmente mi ha ucciso. Volevano farci perdere la dignità”, racconta Vincenzo Cacace, detenuto invalido e costretto alla sedia a rotelle.
Il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere si è svolta una vera e propria mattanza durata quattro ore che non ha fatto sconti a nessuno. Sono molte le testimonianze che mettono in evidenza l’orrore di quel giorno: interviste ai detenuti e il video dell’accaduto, resi pubblico dal quotidiano “Domani”. Quest’ultimo mette in evidenza un terribile massacro da parte delle guardie nei confronti dei carcerati inermi e incapaci di difendersi dall’aggressione; ”li abbattiamo come vitelli”, “domate il bestiame”, queste sono alcune delle frasi pronunciate dai carcerieri. Ciò pone l’attenzione sul fatto che questi soggetti non erano intenzionati a fermare la presunta rivolta quanto ad alimentarla con un vero e proprio abuso di potere. I filmati di quel giorno confermano come sia stata scritta una pagina nera e buia della democrazia del paese, che ricorda la macelleria messicana della scuola Diaz di Genova durante la manifestazione contro il G8 del 2001.
L’evento è ancor più grave in virtù della violazione di due articoli della Costituzione, il 27 e il 28: il primo recita che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, il secondo, che i funzionari dello stato sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti. In questo articolo vorremmo porre l’attenzione su due casi specifici, quelli che riguardano il già citato Vincenzo Cacace e il ventottenne Algerino Hamine Lakimi.
Cacace in un’intervista riporta di essere stato brutalmente malmenato con colpi ripetuti alla testa e allo sterno nonostante la sua chiara invalidità e la recente operazione al cuore che lo rendeva un soggetto molto fragile. Il detenuto afferma: “volevano farci perdere la dignità ma l’abbiamo mantenuta”. Egli evidenzia che l’aggressione non è stata solamente fisica ma anche morale.
Caso ancora più grave è quello che coinvolge Lakimi: il ragazzo nonostante soffrisse di gravi problemi psicologici fu messo in isolamento subito dopo il pestaggio senza i suoi farmaci e un mese dopo, il 4 maggio fu trovato morto. Il GIP (giudice per le indagini preliminari) Enea ha considerato la morte dell’algerino come conseguenza del massacro e non un semplice suicidio.
Secondo noi questa vicenda è una violazione dei diritti umani e della nostra Costituzione oltre ad essere un fatto grave per il paese che ne va a macchiare la credibilità delle istituzioni e dei suoi dipendenti. Le carceri e le guardie che dovrebbero essere uno strumento per reintrodurre i detenuti nella società non possono essere luoghi di abuso di potere e violenza ingiustificata. A nostro parere dovrebbero essere aumentati i controlli per garantire il rispetto dei detenuti e delle condizione in cui questi vivono e inasprire le pene qualora si presentassero casi simili. Quindi, concludendo, eventi brutali come questi dovrebbero rimanere un unicum nella storia del nostro paese e non visti come “normali”.
A cura di Tommaso Capucci e Gregorio Manuali